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Gli interventi del Presidente sul quotidiano "Il Mattino" 


LUIGI CELESTRE ANGRISANI

L'articolo

Calcio, se in campo c'è il teppista  
Invece delle rituali condanne meglio costruire infrastrutture ai giovani.

Se fossimo in uno dei tanti quiz televisivi la domanda sarebbe: “quanti sono gli italiani che consumano periodicamente cibi e prodotti provenienti da coltivazioni biologiche?”. Quasi tutti risponderemmo “pochi”. E perderemmo. Perché invece sono tanti. Per l’esattezza uno su tre. Secondo dato: i “bioconsumatori” sono addirittura in maggioranza al nord (57%), decisamente meno al centro (28%) e pochi al Sud (15%). Una cosa però che accomuna tutta l’Italia è che le persone che vogliono in tavola prodotti biologici crescono come funghi (di bosco, naturalmente). Insomma il mercato cresce. C’è un altro mercato che gli cresce accanto, quello dei cosiddetti “prodotti tipici”. Ebbene sì, gli italiani sono disposti a spendere di più pur di mangiare cibi sicuramente tipici di un territorio e di una tradizione. Voi direte, e allora? Ma come allora? Noi viviamo in luoghi che hanno tanti problemi ma, grazie al cielo, hanno anche tante ricchezze invidiabili, che non sono solo in mare ma anche “in terra”. In un’intervista di martedì scorso su questo giornale, il segretario dell’Unione agricoltori di Salerno, Antonino Mellone, al giornalista che gli chiedeva se fosse interessante per gli agricoltori salernitani l’ “invenzione” del pomodoro senza semi, rispondeva in maniera perfetta : “è più interessante il recupero e messa in produzione di vecchie varietà… dobbiamo recuperare i sapori di una volta”. Evviva! Ma ci rendiamo conto che il pomodoro San Marzano, una specie di simbolo di questa terra, è diventato come il panda? Non sto scherzando: è stato definito “in via di estinzione”, da proteggere. E ci rendiamo conto che l’agro nocerino sarnese è il secondo polo agro-alimentare d’Italia e uno dei maggiori al mondo? . Come se non bastasse il punto di forza della nostra agricoltura è quello della qualità. Ovvero esattamente ciò che viene chiesto sempre di più dal mercato. E allora, penserà qualcuno, che problema c’è: é tutto rose e fiori (anzi, frutti e ortaggi). No, per niente. Come spesso capita, non siamo dei campioni nel valorizzare le ricchezze che abbiamo. Qualche tempo fa Bassolino ha detto una frase su cui dovremmo riflettere un attimo: “dobbiamo trasformare la coltura in cultura” . Giusto. Continuando il gioco di parole possiamo dire che da noi non esiste una sufficiente “agricoltura”. Questa terra, che fin dai tempi dei romani era tra le più fertili del pianeta, vede la propria agricoltura annaspare. Io dico una cosa semplicissima: non possiamo permettercelo. Fare l’agricoltore è una fatica immensa e spesso ingrata. Per paradosso in questa terra potrebbe esserlo di meno e invece lo è ancora di più. Che fare allora? Un sacco di cose. Primo: riconoscere all’agricoltura il valore che le spetta, che è enorme. Secondo: disinquinare il territorio e le acque. Terzo: sostenere le imprese agricole, che hanno un grande problema di “polverizzazione” (spesso le imprese agricole sono talmente piccole da non poter reggere il confronto con il mercato). Quarto: puntare sulle produzioni di qualità e sull’agricoltura biologica, perché, a parte ogni considerazione ovvia sulla salute c’è anche il mercato che lo chiede. Quinto: collegare l’agricoltura allo sviluppo complessivo del territorio e al turismo (anche sostenendo l’agriturismo) Sesto, ma non certo in ordine di importanza, procedere concretamente con il progetto, presentato dalla Provincia a novembre, di un marchio “Salerno” che serva come promozione e tutela dei prodotti tipici del nostro territorio. In mano abbiamo un asso, giocarlo male sarebbe imperdonabile. Ne riparleremo. A venerdì prossimo.

Luigi Celestre Angrisani, 16 marzo 2001

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