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Gli interventi del Presidente sul quotidiano "Il Mattino" 


LUIGI CELESTRE ANGRISANI

L'articolo

11 maggio 2001  
Diritto di voto: un'arma per premiare e punire.
Ho visto un manifesto elettorale, ma lui non ha visto me. Il faccione del candidato aveva gli occhi abbassati, rivolti da una parte. All’inizio ho pensato «ma che razza di fotografo!». Ma un fotografo, mi sono detto, fotografa quello che gli chiedono. E allora, mi sono chiesto, cos’è che rende un candidato così timoroso da non guardare gli elettori in faccia neanche da un manifesto? Che abbia qualcosa di cui vergognarsi?
Mah, fatti suoi. Poi, ripensandoci, ho capito che quel manifesto così «timido» era involontariamente il miglior simbolo di questa strana campagna elettorale. Mi spiego. Questa doveva essere la campagna del contatto diretto tra cittadini e candidati vicini alla gente. E invece è stato il trionfo di candidature decise nelle camere segrete dei partiti centrali, e dei possibili candidati genuflessi per ottenere il collegio dai potenti delle segreterie. Ho saputo addirittura di persone che hanno dormito in macchina davanti alle sedi dove si decidevano i candidati, tutto pur di non perdere l’occasione di incontrare il «protettore» che avrebbe dovuto concedergli l’aspirato collegio. (Spero che la macchina avesse i sedili reclinabili). E i favori, appunto, si chiedono ad occhi bassi, umilmente. Così come ad occhi bassi il sistema politico guarda a cittadini ai quali ha imposto spesso candidati sgraditi. Oppure non li guarda per niente, e infatti sappiamo - perché è stato comunicato ufficialmente, non per pettegolezzo - che uno degli schieramenti in campo ha invitato i propri candidati a fare campagna elettorale con le sole foto del leader nazionale. Occhi assenti E così molti cittadini tra occhi bassi e occhi assenti forse hanno voglia di volgere i propri occhi da tutt’altra parte. E i candidati lo sanno. Hanno i sensi di colpa per essere stati scelti dall’alto. E che fanno? In molti si appellano al certificato di nascita. E urlano ai quattro venti «sono di questa terra». E che sei, una patata? La denominazione di origine controllata lasciamola ai pomodori, con la politica c’entra poco o niente. Suvvia, i cittadini votano programmi, persone, impegni, mica certificati anagrafici. Vogliono sapere chi è il candidato, cosa ha fatto per il territorio «oltre a nascerci» quali battaglie ha vinto e quali ha perso, se è stato leale con i suoi alleati e così via. Perché il voto è importante, sul serio. Oddio, direte voi, adesso arriva la solita predica contro l’astensione, su quanto sia democratico recarsi alle urne invece che andare in gita. No, le prediche non mi piacciono. Ma non mi piacciono neanche le rinunce. Diciamo però che andare a votare significa prendere in mano un’arma civile. Se non vi piacciono i candidati che avete davanti, se siete arrabbiati neri con la logica dei partiti che vi hanno imposto di scegliere tra persone che non stimate o che non vi hanno convinto, sappiate che rinunciando al voto gli fate solo un favore. Non sarete contati, semplicemente non esisterete. Potrà esserci un dibattito di qualche minuto sull’astensionismo, ma poi finirà tutto lì. Poca roba, sinceramente. Se andate in cabina avrete in mano tre schede (a parte quelle per le amministrative). Usatele senza rassegnazione. Non votate chi non vi convince solo per pigrizia, votate la persona che pensate possa rappresentarvi veramente. Potrete premiare o punire, restando fedeli comunque alle vostre idee. E potrete dire ai partiti che hanno imposto candidati sbagliati «non credete che non ce ne siamo accorti». Può darsi che la prossima volta i candidati non vengano scelti in base a quante notti hanno dormito in macchina davanti ai portoni delle direzioni nazionali. E il simbolo delle elezioni non sarà un manifesto triste, con gli occhi abbassati. Buon 13 maggio.

Luigi Celestre Angrisani

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